Yoga, tartufo e campestre.

Ecco la sintesi della giornata di ieri. Ora di pranzo in palestra, prima una bella seduta di pesi ed esercizi “utili alla causa” e poi -in sala a fianco- yoga. Dopo 10 anni che pratico pensavo di aver conosciuto un po’ tutti gli approcci, le metodiche, le caratteristiche delle varie scuole: la meditativa (posizioni spiegate all’essenziale con correzioni minimaliste), la “mistica” (chakra, visioni e canti), la chiacchierona (dal’inizio alla fine spiegazioni dei gesti, anche quelli inutili), la fisica (saluti al sole a go-go).

Quindi in una palestra decentrata, filiale (povera) di una rinomata, anche un po’ sfigata (o troppo caldo, o troppo freddo la sauna spenta, lo spogliatoio piccolo, il parcheggio sterrato la vista deprimente, gli attrezzi nuovi ma della sottomarca…. Non mi aspettavo certo una lezione di yoga veramente intrigante. Cioe’ quello che mi piace (e serve) veramente: uno stretching dinamico con grande utilizzo della respirazione per arrivare alle posizioni, senza fronzoli mistici o coinvolgimenti animistici. Insegnante un po’ ruvida ma pragmatica. Lo definirei yoga occidentale.

In serata, pasto libero, grazie ad un coupon di Let’s Bonus, all’Osteria del Cioccolato, in un posto che piu’ sfigato non si puo’ (zona industriale di Poggio Piccolo, Stradelli Guelfi), ma molto caratteristica, a partire dal bere “a self service”, acqua e vino, con pignoletto, merlot, barbera e sangiovese.

Il nostro coupon ci dava diritto al menu a base di tartufo, con uovo all’occhio di bue (ahime’ mangiato prima di fotografarlo) in tegamino, ricoperto da una bella grattugiata di tartufo nero (lo scorzone). A seguire, gnocchi e cappello del prete, sempre in crema tartufata, e dal filetto (eccellente) di carne ricoperto da fettine di tartufo con pure’ di patate con pezzetti di tartufo (naturalmente). Il dolce tortino di cioccolato caldo con crema. Veramente un bel posto dove passare una bella serata.

Oggi pomeriggio, sabato, prima campestre stagionale (a Pieve di Cento) e primo ultimo posto, e pure con distacco. Certo, le campestri sono esattamente l’opposto della mia gara ideale, anzi direi che non mi piace nessun aspetto: dal terreno accidentato, alla lunghezza (max 5 chilometri), dalla velocita’ (correre a 5.00/km, velocita’ ultrasonica per me di questi tempi, come volevasi dimostrare, serve ad arrivare ultimo) alla stagionalita’, sempre d’inverno, meglio se nevoso/piovoso (solo la grande siccita’ di questi ultimi due anni mi hanno salvato dal fango). Infine lo scarpino chiodato, che a sbagliare l’orientamento della punta del piede si finisce lunghi distesi.

Pero’ le faccio, perche’ mi servono come esercizio di forza (valida alternativa alle ripetute in salita) e soprattutto per la propriocettivita’ dell’arto inferiore, in cui io sono carente. Insomma provo ad illudermi di poter imparare a correre un po’ meglio. Il problema e’ che oltre al fatto di essere comunque lento “di velocita’ base” (il primo ci ha impiegato 17 minuti e spiccioli, io 25′ e 32″, e vi assicuro che ci ho tirato al massimo) la mia batteria e’ composta da M40 ed M45, ovvero gente che ha fra i 40 ed i 49 anni, e al limite potrei addurre questa scusa per dire “sono piu’ giovani, e’ ovvio che vadano piu’ forte”, il problema e che’ se si va a vedere la classifica degli M50 sarei comunque ultimo. Evviva.

Insomma vada per l’utilita’ della campestre, ma se anche non arrivassi ultimo (che poi ci sono le altre batterie, dietro scalpitanti in attesa del via) sarei molto piu’ contento.

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