Ironman Cozumel e Yucatan – Dias 3, 4 y 5

Il sabato passa con la solita routine, in mattinata ho preparato le sacche, e dopo 15 volte dovrebbe essere un gesto “normale”, ma sono certo che anche stavolta avrò dimenticato o sbagliato qualcosa. E, come al solito, me ne accorgerò la domenica. Poi carichiamo la bici e la portiamo al check in, e già che ci sono provo anche 2 bracciate nel mare del percorso, senza capire se la corrente e’ così forte come si dice. Di certo il mare e’ trasparentissimo, blu e abbastanza pieno di pesci. Al ritorno ci fermiamo di nuovo in paese, ma ho solo voglia che venga domani.

E dunque e’ arrivato “il giorno”. Adoro gli Ironman dove ho il fuso a favore. Sabato, dopo una frugale cena alle 9 ero già addormentato. E alle 3.58 già sveglio, con ben 7 ore di sonno. Riposato e pronto allo sforzo. Il vento qui fuori dall’hotel e’ sempre impetuoso, chissa’ a Chankanaab, alla partenza… 
Sbrigo in poco tempo le pratiche mattiniere, e la colazione.  Alle 4.45 prendo la navetta. Alle 5 sono a fianco della mia bici. Avevo un’unica preoccupazione, dato che ieri non avevo sgonfiato le gomme perché il cielo era coperto, che fosse successo qualcosa di irreparabile. Per fortuna no, anzi (penso) sono gonfie al punto giusto e non azzardo un gonfiaggio che potrebbe pregiudicare tutto. Mi incontro con Guido Dona’, uno che a 60 anni ancora compete per Kona (nella sua categoria) ma qui non gli piace: troppo piatto il percorso bike, lui stambecco da Ironman con dislivelli importanti (qui alla fine saranno 107 metri in 181 km). 
Io ho solo in mente che ogni giro da 60 km per 30 km avrò un furioso vento contrario, ma negli altri 30 sarà a favore: vedro’ di sfruttarlo. E la maratona sono pronto a camminarla, se i piedi non mi daranno tregua. In fondo sono qui turista al 60%, avendo già fatto il mio Ironman per il 2012, ma comunque non lo prendo sottogamba di certo: mai prendere un Ironman sottogamba, senno’ si vendica. 
Alle 6.30 siamo tutti fuori per l’inno (un po’ snobbato) e per la partenza dei PRO. Di famosi ce ne sono pochi, la nostra Tebaldi (sul podio nel 70.3 di Pescara) e Ivan Rana, uno spagnolo che ha avuto soprattutto successo negli olimpici, con un bel piazzamento alle Olimpiadi di Atene. 
Alle 6.40 la sirena da loro il via e l’unica cosa che riesco a capire che andando verso nord fanno molta fatica. Sembra (loro!) si muovano appena, pur mulinando le braccia furiosamente. Il percorso e’ un rettangolo, 900m contro corrente, 50m per allargarsi, 1800m a favore di corrente, altri 50m in perpendicolo, e 1000m finali contro corrente. 
La partenza e l’arrivo sono separate dal box dei delfini, che astutamente imboccati dagli istruttori saltano felici (?) ad altezza banchina. Sulla quale siamo incolonnati per arrivare alla zona di start, in acqua. Sarebbe stupendo se intanto che gli atleti li guardano procedessero e scendessero in mare, ma così non e’ ed io, che sono rimasto un po’ indietro, mi trovo non nelle retrovie ma ad oltre 100m dalla partenza quando viene dato lo start. 
Comunque non sembra che la mia giornata inizi bene. Dopo neanche 10 minuti il mutino mi taglia sul collo e sotto le ascelle, e cio’ condiziona la bracciata, ogni volta sempre più’ dolorosa. Poi la corrente e’ anche peggio di quanto pensassi, e sui due tratti a sfavore sono fermo. A cio’ va aggiunto anche una ondina ubriacante. Risultato: 2 ore a combattere la corrente, il dolore e un po’ anche la consapevolezza che nonostante un gran carattere potrei veramente fanculare tutto. 
Ma poi, come al solito, il pensiero va oltre e dopo 2 ore, appunto e 4,31 km, metto mano alla scala di uscita. Su cui a momenti svengo, tanto sono prostrato. Con non so quale forza corro alla zona di cambio, e dopo lunghissimi 8 minuti (ma me ne sarebbero serviti di più) esco con la bici. Sto male. Mi sento ubriaco, affamato e confuso. Mi aggrappo alla sola consapevolezza che ho ancora quasi 15 ore di tempo per arrivare in fondo. Beh, anche 4 barrette ingurgitate in un amen insieme a 2 borracce di maltodestrine.

Il primo giro in bici sono in un’altra dimensione. Non ricordo nulla, se non questo vento che dall’altra parte dell’isola sferza i nostri sforzi senza pieta’ ne’ alcun riparo. Pero’ -mi pare- che sia solo su questo lato, ovvero 22 km su 60… Durante il secondo giro “riprendo colore” e consapevolezza. Ora va molto meglio, e pedalo più’ convinto e con più’ vigore. Il terzo giro passa, volente o nolente, e scendo dalla bici (che e’ già un miracolo questo) dopo 181 km, 4 soste a massaggiarmi i piedi e 7 ore e 10. 

Ora la maratona. Non ho aspettative: le 4 soste in bici per i dolori ai piedi non fanno prevedere niente di buono, ma sono fermamente deciso a tentare il “metodo Vince”: il coach di Carla mi aveva invitato a provare 1 km di corsa alternandolo ad 1 di cammino. Faro’ anche meglio: 1200m dii corsa, 800m di cammino, così per 42 km e appena una sosta per i piedi, anzi, uno solo, il destro: facendolo rotolare su un sacchetto di acqua gelida. E sia, dopo ulteriori 5 ore e 44 minuti, eccola li’, la finish line numero 14. 

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